Passeggiate a filo d’acqua; panorami estesi sul Lago Maggiore in ogni direzione un porto privato e una grande darsena; piante esotiche, alcune delle quali importate dalla Cina; sentieri tagliati nella roccia; sculture alla ‘Gaudì’, una grande fontana e una cascata privata. Il parco della villa che si estende lungo le rive del lago nella frazione di Colmegna rappresenta uno dei giardini più ricercati della sponda lombarda del Lago Maggiore.
La storia è complessa. La prima menzione risale ad una guida del 1857: «Colmegna […] qui il sig. […] Casnedi ha recentemente costrutto, e […] aperto al pubblico una deliziosa villetta ad uso di albergo». In realtà il luogo fu ridotto a villeggiatura in precedenza e le menzioni vanno corrette. La creazione della villa si deve all’industriale Luigi Huber, che edificò la casa padronale nel 1841-43 «sopra l’area di un bosco misto» e la cinse di giardino «con piante esotiche» nel 1844, convertendo allo scopo un’altra area a «bosco misto». La villa corrispondeva all’attuale caseggiato nella pianta a L aperta verso sud, secondo quanto è riscontrabile nella cartografica storica: il settore padronale era affiancato da un corpo minore prolungato in direzione di Luino destinato a rustico e in parte ceduto ad altri proprietari.
La villa di Luigi Huber, industriale di origine svizzera con setificio a Germignaga, ereditato dal padre Francesco, era estesa quasi quanto il parco attuale: al giardino vero e proprio s’affiancavano uno «zappatoio», un «ronco» e boschi («ceduo forte» e «bosco da taglio»). Il giardino misurava oltre 3 pertiche; l’intero possedimento: 4 pertiche e mezza. La villa era già nota col nome di ‘Inglesina’. Tale denominazione sembrò un presagio. Huber, infatti, morì nel 1862; eredi furono Francesco, Giulietta, Enrichetta e Matilde, nati dal matrimonio con Adele de Cofframe; amministratore per i minorenni era Achille Longhi «di Germignaga», noto archeologo che in altre coincidenze si presentò come intermediario per l’acquisizione dei terreni con villa a Germignaga. Nel 1868 la proprietà passò a Giuseppina Guzzi, nata Porta. Subentrò sir Henry Lloyd Wynne, originario del Galles, capitano della regia guardia inglese, a tal punto affezionato al lago da essere seppellito a Colmegna. Morto nel 1874, i suoi eredi cedettero la tenuta a Giuseppe Cicogna nel 1878-79.
Il conte Giuseppe Cicogna, nel 1895, ottenne dal demanio il diritto d’occupazione per un tratto di litorale (al di sotto della carrozzabile per Maccagno in costruzione verso l’attuale darsena) «per allargare il suo giardino, che è ricco di rare piante conifere, di fiori, diligentemente coltivate dal bravo giardiniere Mauri Filippo. Nel detto giardino vi sono ampii viali, e terrazze, dai quali si gode uno splendido panorama. Una grande darsena, vi è per la custodia e riparo delle gondole», come ricorda la cronaca dell’epoca. Nel 1898 entrò in funzione un acquedotto privato per «l’innaffiamento perenne». A questo tempo risale la bella serra che reca la data 1896 e, pare dalla descrizione, anche una prima cascata d’acqua. Nel settore nord, il versante che piega in vista di Maccagno, è presente una torre aperta da arcate al lago già rilevata nel catasto del 1861, ma rialzata e ridotta ad uso del giardino durante la proprietà Cicogna. Si tratta d’un corpo contenente in origine una scala per collegare il ricovero delle carrozze, a livello della strada soprastante, al lago.
A questo disegno si aggiunse quello impresso dal successivo proprietario, Enrico Porta; morto il conte Cicogna nel 1906 (per altri 1908) la villa fu intestata alla figlia Leopolda, sposa del marchese modenese Camillo Montecuccoli e, nel 1912, a Porta (1874-1928). Questi era ingegnere nel campo della produzione dell’energia idroelettrica con imprese per lo sfruttamento in tal senso delle acque nelle valli bresciane. Botanico e paesaggista dilettante esercitò le proprie doti nel singolare disegno del giardino sul Verbano. Qui mise a dimore alcune piante di pregio acquistate in Cina tramite la figura di un padre missionario milanese; affiancò alle cospicue opere architettoniche che componevano il giardino dopo la riforma Cicogna una serie di manufatti chiaramente ispirati all’estro del celebre architetto catalano Antoni Gaudí, di cui paiono citazione la nuova fontana – dove il tradizionale tema delle grottesche assume curiose forme di stalattiti, piramidi, vasche cementizie in successione verticale (escamotage per la costruzione di un ‘rock garden’) – e la statuaria d’arredo (tra cui un Arione di Metimna salvato dal delfino). Il Porta rimodellò buona parte del versante verso Maccagno complicando l’intrico di vialetti scavati nella roccia, riutilizzata come parete di ingenui ‘rock garden’. Un grande cartiglio rivolto al lago presenta ancora la scritta Villa Porta composta a mosaico. Oltre la torre, è certo la trovata più ingegnosa: un ridotto belvedere, con sedile per due persone e balaustra in cemento, è sovrastato da uno scivolo d’acqua che scende dal monte (oggi non in uso); l’artificio permetteva agli ospiti di trovarsi sotto una cascata d’acqua e riecheggiava le meraviglie idrauliche dei giardini seicenteschi.
Il risultato delle manipolazioni è un impianto estremamente scenografico, ben calibrato tra radure a prato vicino alla villa, bordate da siepi, vasi e statuaria di fine ’800, ombrose zone con esemplari d’alto fusto e percorsi a specchio sull’acqua con piazzole di sosta ombreggiate da berceau in continua vista lago. I sempreverdi sono consueti (una grande rovere a monte del gazebo sulla punta rappresenta un innesto di botanica spontanea nell’impianto esotico), ma essenze mediterranee sono sparse a infrangere il verde cupo: allori, ligustri (a lato della terrazza a prato), agavi e acanto (a cingere la vasca). D’impatto le magnolie protese sopra il percorso a lago come una galleria vegetale con rami fino all’acqua.